Partendo dal presupposto che non esiste un’età “giusta” per cominciare a suonare uno strumento, sono convinto che l’insegnamento consista innanzitutto nel cercare di capire quali siano le peculiarità di ogni allievo e le sue aspettative, per aiutarlo a trarre il massimo risultato dalle proprie capacità. È dunque fondamentale fornire le giuste indicazioni in base alle diverse personalità che ci si trova di fronte (dunque non in base a modelli precostituiti), cercando di scoprire volta per volta quale sia la strategia migliore per l’allievo in quel momento: se gli si sa trasmettere l’immagine giusta per riuscire a comprendere e applicare tale strategia, si sviluppa in lui anche la capacità di credere in sé stesso e nelle proprie potenzialità.
Dal punto di vista tecnico, la qualità del suono, l’intonazione, l’estensione e la resistenza sono la diretta conseguenza di una corretta impostazione. A questo riguardo, credo che una corretta impostazione definibile come “classica” permetta di orientarsi poi verso uno spettro di repertori molto più ampio, in base alle proprie preferenze. Una problematica ricorrente è legata al non facile raggiungimento della piena consapevolezza e del corretto impiego del proprio corpo: innanzitutto rispetto alla gestione dell’aria, ma non sottovalutando anche il controllo delle molte tensioni muscolari che si attivano durante la produzione del suono e rischiano di pregiudicarne la qualità se si manifestano in misura eccessiva.
Chi inizia “da zero” deve innanzitutto essere guidato verso un approccio allo strumento il più naturale possibile, il che garantirà di ottenere risultati di maggior qualità e con minor tempo di applicazione. Il corpo procede per memorie muscolari: è pertanto essenziale impostare fin dal principio un modello muscolare privo di inutili e controproducenti forzature.
Nel caso ci si trovi invece a lavorare con un allievo che abbia già sviluppato in precedenza atteggiamenti inadeguati, è necessario aiutarlo a cambiare gradualmente le abitudini consolidate fornendogli un nuovo modello, ovvero nuove istruzioni da dare al proprio corpo in sostituzione delle vecchie.
Nel momento in cui si comincia la pratica di uno strumento musicale, infatti, come per ogni altra esperienza innovativa, tendiamo ad apprendere con grande rapidità le istruzioni che ci vengono fornite, traducendo immediatamente i concetti in determinati modelli di fisicità che, non di rado, sono assai poco naturali e spontanei: si innesca così un meccanismo fisiologico che inizialmente e apparentemente non comporta particolari difficoltà o conseguenze negative, ma che, col tempo e la ripetizione, porta a deficit muscolari che sono causa di notevoli cali della qualità del suono, della sua produzione e naturalmente dell’efficacia della resa musicale complessiva.
Suonare uno strumento a fiato non può certo definirsi in tutto e per tutto un’attività corporea “naturale”, ma senza dubbio l’obiettivo primario di ogni esecutore deve essere il raggiungimento del punto di massimo equilibrio e benessere psicofisico durante la propria prassi musicale.